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Pensare Ferruccio Masini

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Masini-Ferruccio

[Volentieri riproponiamo questo ricordo uscito oggi sulle pagine di Cultura de "Il Giornale". Immagine via CristinaCampo.it. M.S.]

Marino Freschi

L’otto luglio 1988 moriva appena sessantenne Ferruccio Masini, fiorentino, dalla sua bella parlata toscana che non abbandonò mai. Fu tra gli intellettuali più liberi, creativi e produttivi del secondo Novecento italiano. Di estrazione comunista, aveva seguito studi giuridici per laurearsi in filosofia del diritto e compiere la sua prima “migrazione” verso gli studi umanistici, ricreandosi culturalmente con un soggiorno a Friburgo alla scuola di Martin Heidegger e di Eugen Fink, insieme a una piccola pattuglia di filosofi italiani, tra cui Giorgio Baratta e Aldo Masullo. Erano gli anni in cui Heidegger “leggeva” Nietzsche e sarà il filosofo di Zarathustra il pensatore che influì decisivamente per il risveglio di Masini. Tornato in Italia collaborò con Colli e Montinari alla più impegnativa impresa editoriale di quegli anni: all’edizione storico-critica delle opere di Nietzsche, diventando uno dei nostri più sensibili e agguerriti traduttori e interpreti della cultura tedesca. Infatti per Masini tradurre era il primo momento dell’interpretazione e tutto il suo metodo critico era pervaso da questa simbiosi che lega la lettura del testo alla sua trasposizione in un orizzonte ermeneutico comprensibile. Si può seguire, tramite le sue numerose opere e interventi critici – sparsi anche sulla stampa “militante” come “L’Unità”, “Rinascita”, “Metaphorein”- un  percorso che vuole caparbiamente unire la densità del pensiero con la sua traducibilità. Non a caso Masini è stato un grande germanista  e un appassionato insegnante di letteratura tedesca all’Università di Parma (che non volle chiamarlo quando vinse la cattedra). Fu chiamato a Siena dove divenne preside della facoltà di Lettere che, con lui e per lui, divenne una delle migliori d’Italia. L’originalità di Masini si colloca nella sua ricchezza intellettuale ed artistica: divenne un saggista ben presente nella discussione culturale degli anni Settanta e Ottanta e insieme anche un pittore – firmava i quadri con lo pseudonimo Salins – e un poeta, assai apprezzato da Montale. Era uno spirito inquieto e irrequieto, la germanistica gli stava stretta e si occupò di poesia spagnola e anche di teatro, di regia.

All’interno della vivacissima ricerca politica e culturale di quegli anni contribuì – con Cacciari soprattutto – ad aprire il dibattito marxista a orizzonti impensabili, eterodossi, eretici. Fece scalpore un suo intervento sulla rivista della Nuova Destra, «Elementi» di M. Tarchi. Ma a una attenta valutazione delle sue esplorazioni culturali era evidente che Masini era un intellettuale “non autorizzato”, un comunista che leggeva e commentava Nietzsche, ma anche Meister Eckart, il principale esponente della mistica medievale germanica, come pure Gottfried Benn ed Ernst Jünger, i principali autori tedeschi dell’emigrazione interna, quelli che non lasciarono il Terzo Reich, che preferirono l’esercito all’esilio. Ma lo snodo era sempre Nietzsche con la deriva nichilista. Il suo libro più denso è Lo scriba del caos. Interpretazione di Nietzsche (Il Mulino 1978). Ma già alcuni anni prima, a ridosso del ’68, aveva fondato con Pietro Toesca una spumeggiante collana di critica «Quaderni di filosofia», dove aveva pubblicato  L’Alchimia degli estremi. Studi su Jean Paul e Nietzsche. Un saggio che indica lo sfondamento settecentesco della problematica del nichilismo, le cui radici affondano nella crisi del pensiero teologico luterano dell’ultimo ’700.

Negli ultimi anni si infittirono le sue incursioni nell’opera screziata, inesauribile, impenetrabile, di Franz Kafka e ciò che lo affascinò del mondo frammentario kafkiano fu la scrittura aforistica, soprattutto quella degli Otto Quaderni in Ottavo, la meditazione dei quali gli accenderà una straordinaria passione aforistica poiché, come ebbe a dire: «La complessità del reale è tale che gli strumenti per coglierla devono essere necessariamente molteplici». Questa illuminazione lo avvicina a una svolta mistica, non certo confessionale, ma sulla kafkiana soglia della Legge, come testimoniano i suoi sapienziali Aforismi di Marburgo (Spirali 1983), dove l’uomo Masini ha cominciato il suo estremo dialogo con la malattia e con una morte non più evitabile. La sua riflessione si fa dura, aspra e insieme dolce, la sua innata timidezza lo aiuta a prendere congedo dall’effimero. Nel 1985 a mo’ di testamento, di archivio e d’inventario pubblica il suo romanzo La vita estrema. Palinsesto (Spirali). E la sua ricerca si rivela come una serie di abissali ricerche che avanzano verso l’alto a spirali, lasciando intravvedere palinsesti imprevisti, sorprendenti. E sorprendente è infatti il suo ultimo libriccino, riproposto ora dall’editore Castelvecchi: Pensare il Buddha. (pagine 90, € 9,50). L’approssimarsi della morte diviene un’ispirazione sommessa, sempre ironica, disperata eppure… E tuttavia Masini coglie folgorazioni autentiche, che lo sostengono e che lui generosamente ci comunica come testamento di un uomo che ha sempre, sempre cercato il suo «Buddha»: il senso nascosto del vivere.

Marino Freschi

 

 

 


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